La pittura di Isabella Staino

  (A.Galeazzi)  
  2013  

Hai paura del buio?

Dipinti – finestra che per loro natura incidono sulla costruzione del futuro. Il progetto è l’esistenza che si fa nutrice di altre infinite esistenze che da se stesse nascono e alterano la scansione del tempo ed il volume dello spazio. Finestre – dipinto, corridoi cromatici, definite ipotesi indefinite dell’altrove. La possibilità è sulla strada del moltiplicarsi delle possibilità; la necessità è l’intenzione del colore; la forma sostanzia l’illusione di un limite, di un conosciuto universo. Ininterrottamente il quadro è madre del successivo, nelle più svariate dimensioni della tela e del sogno e del segno. La poetica descrive le gesta figurative di un immenso romanzo senza fine, popolato di donne giganti sussurratrici dei segreti del Tempo, animali piumati padroni di tutto lo Spazio e esseri ed enti che si stagliano sull’opaco orizzonte di un verde che è giallo che è rosso. Hai paura del buio? No.

 

 

PICCOLO MANUALE AD USO DEL PUBBLICO E DEL CRITICO PER UN’OSSERVAZIONE

DELLE OPERE DI ISABELLA STAINO.

 

 

La gradazione del colore.

Ci torneremo sopra più tardi parlando di gerarchia, adesso quest’incipit mi serve per dire altro, per parlare de: l’ingenuità è una gradazione del pudore? Ingenuità e citazione. L’eccitazione della citazione, questo mi par proprio quello. La gradazione estrema dell’ingenuità è l’assenza del pudore per la propria stessa ingenuità. Osservo, dunque, l’opera e parlo, evoco, cito. Ma estraggo dal mio stesso immaginario la parola, l’evocazione, la citazione. Isabella Staino, pittrice. Le sue opere, stanze, donne, pavimenti e animali. Una densa solitudine; isolamento stratificato; abolizione di leggi fisiche che restituiscono l’orientamento del clima emotivo. Occhi, per vedere la vera geometria di una stanza sedotta da antichi paradigmi sentimentali. Chagall, no. Fellini, “La città delle donne”, no. David Linch, si. Klimt, no davvero. Abbandonati ad una estrema ingenuità spudorata citiamo, pescando sul pelo dell’acqua della nostra memoria, sulla superficie emozionale, letture preconfezionate, letterature passate ormai nella schiera del nostro bagaglio didattico ufficiale, istituzionale. Magari affettate di stile, per dirla con Proust... Citazione possibile adesso perché funzionale a questa invettiva. Poi la questione surrealista, come se fosse possibile il surreale come questione, no. Banale è l’ammonizione di lasciar perdere se stessi di fronte all’opera, approdare all’ascolto, un ascolto che deve essere si sempre audace e spericolato, pronto a tutto, a ricevere tutto, pronto a sorreggere la visione, esserne parte. La gradazione del colore. Colori primari, colori secondari. Colori subalterni. Colori graduati, ufficiali, sott’ufficiali, colori generali, capi d’armata o disarmati. Sono partito per la mia strada idiota, ipnotizzato dal suono di una parola, parola che mangia se stessa, sono logofago, avevo però avvertito dal principio che sarei tornato a parlare di gerarchia del colore. E mi son perso. Ma questo è l’ascolto, anche di sé. Labirinto di scatole cinesi per attitudini momentanee; ma forse sto ancora parlando dell’opera, forse c’è ancora Isabella, ci sono ancora ex voto che occhieggiano dalla parete, che ammiccano il miracolo da compiersi. Loro già lo conoscono, lo hanno visto e vissuto e tengono negli occhi, nella posa d’un braccio, tutta la voglia di regalarcelo. L’ex voto è un corpo a brandelli: custodiscine un pezzo.